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Forse tutta la vita non è che un sogno continuo, e il momento della morte sarà un risveglio improvviso.
Pedro Calderón de la Barca
Pedro Calderón de la Barca
Il professor Vittorino Andreoli: "L'Italia è un Paese malato di mente. Esibizionisti, individualisti, masochisti, fatalisti" Andrea Purgatori, L'Huffington Post | Pubblicato: 06/08/2013 15:11 CEST | Aggiornato: 06/08/2013 16:16 CEST Vittorino Andreoli intervista “L’Italia è un paziente malato di mente. Malato grave. Dal punto di vista psichiatrico, direi che è da ricovero. Però non ci sono più i manicomi”. Il professor Vittorino Andreoli, uno dei massimi esponenti della psichiatria contemporanea, ex direttore del Dipartimento di psichiatria di Verona, membro della New York Academy of Sciences e presidente del Section Committee on Psychopathology of Expression della World Psychiatric Association ha messo idealmente sul lettino questo Paese che si dibatte tra crisi economica e caos politico e si è fatto un’idea precisa del malessere del suo popolo. Un’idea drammatica. Con una premessa: “Che io vedo gli italiani da italiano, in questo momento particolare. Quindi, sia chiaro che questa è una visione degli altri e nello stesso tempo di me. Come in uno specchio”. Quali sono i sintomi della malattia mentale dell’Italia, professor Andreoli? “Ne ho individuati quattro. Il primo lo definirei “masochismo nascosto”. Il piacere di trattarsi male e quasi goderne. Però, dietro la maschera dell’esibizionismo”. Mi faccia capire questa storia della maschera. “Beh, basta ascoltare gli italiani e i racconti meravigliosi delle loro vacanze, della loro famiglia. Ho fatto questo, ho fatto quello. Sono stato in quel ristorante, il più caro naturalmente. Mio figlio è straordinario, quello piccolo poi…”. Esibizionisti. “Ma certo, è questa la maschera che nasconde il masochismo. E poi tenga presente che generalmente l’esibizionismo è un disturbo della sessualità. Mostrare il proprio organo, ma non perché sia potente. Per compensare l’impotenza”. Viene da pensare a certi politici. Anzi, a un politico in particolare. “Pensi pure quello che vuole. Io faccio lo psichiatra e le parlo di questo sintomo degli italiani, di noi italiani. Del masochismo mascherato dall’esibizionismo. Tipo: non ho una lira ma mostro il portafoglio, anche se dentro non c’è niente. Oppure: sono vecchio, però metto un paio di jeans per sembrare più giovane e una conchiglia nel punto dove lei sa, così sembra che lì ci sia qualcosa e invece non c’è niente”. Secondo sintomo. “L’individualismo spietato. E badi che ci tengo a questo aggettivo. Perché un certo individualismo è normale, uno deve avere la sua identità a cui si attacca la stima. Ma quando diventa spietato…”. Cattivo. “Sì, ma spietato è ancora di più. Immagini dieci persone su una scialuppa, col mare agitato e il rischio di andare sotto. Ecco, invece di dire “cosa possiamo fare insieme noi dieci per salvarci?”, scatta l’io. Io faccio così, io posso nuotare, io me la cavo in questo modo… individualismo spietato, che al massimo si estende a un piccolissimo clan. Magari alla ragazza che sta insieme a te sulla scialuppa. All’amante più che alla moglie, forse a un amico. Quindi, quando parliamo di gruppo, in realtà parliamo di individualismo allargato”. Terzo sintomo della malattia mentale degli italiani? “La recita”. La recita? “Aaaahhh, proprio così… noi non esistiamo se non parliamo. Noi esistiamo per quello che diciamo, non per quello che abbiamo fatto. Ecco la patologia della recita: l’italiano indossa la maschera e non sa più qual è il suo volto. Guarda uno spettacolo a teatro o un film, ma non gli basta. No, sta bene solo se recita, se diventa lui l’attore. Guarda il film e parla. Ah, che meraviglia: sto parlando, tutti mi dovete ascoltare. Ma li ha visti gli inglesi?”. Che fanno gli inglesi? “Non parlano mai. Invece noi parliamo anche quando ascoltiamo la musica, quando leggiamo il giornale. Mi permetta di ricordare uno che aveva capito benissimo gli italiani, che era Luigi Pirandello. Aveva capito la follia perché aveva una moglie malata di mente. Uno nessuno e centomila è una delle più grandi opere mai scritte ed è perfetta per comprendere la nostra malattia mentale”. Torniamo ai sintomi, professore. “No, no. Rimaniamo alla maschera. Pensi a quelli che vanno in vacanza. Dicono che sono stati fuori quindici giorni e invece è una settimana. Oppure raccontano che hanno una terrazza stupenda e invece vivono in un monolocale con un’unica finestra e un vaso di fiori secchi sul davanzale. Non è magnifico? E a forza di raccontarlo, quando vanno a casa si convincono di avere sul serio una terrazza piena di piante. E poi c’è il quarto sintomo, importantissimo. Riguarda la fede…”. Con la fede non si scherza. “Mica quella in dio, lasciamo perdere. Io parlo del credere. Pensare che domani, alle otto del mattino ci sarà il miracolo. Poi se li fa dio, San Gennaro o chiunque altro poco importa. Insomma, per capirci, noi viviamo in un disastro, in una cloaca ma crediamo che domattina alle otto ci sarà il miracolo che ci cambia la vita. Aspettiamo Godot, che non c’è. Ma vai a spiegarlo agli italiani. Che cazzo vuoi, ti rispondono. Domattina alle otto arriva Godot. Quindi, non vale la pena di fare niente. E’ una fede incredibile, anche se detta così sembra un paradosso. Chi se ne importa se ci governa uno o l’altro, se viene il padre eterno o Berlusconi, chi se ne importa dei conti e della Corte dei conti, tanto domattina alle otto c’è il miracolo”. Masochismo nascosto, individualismo spietato, recita, fede nel miracolo. Siamo messi malissimo, professor Andreoli. “Proprio così. Nessuno psichiatra può salvare questo paziente che è l’Italia. Non posso nemmeno toglierti questi sintomi, perché senza ti sentiresti morto. Se ti togliessi la maschera ti vergogneresti, perché abbiamo perso la faccia dappertutto. Se ti togliessi la fede, ti vedresti meschino. Insomma, se trattassimo questo paziente secondo la ragione, secondo la psichiatria, lo metteremmo in una condizione che lo aggraverebbe. In conclusione, senza questi sintomi il popolo italiano non potrebbe che andare verso un suicidio di massa”. E allora? “Allora ci vorrebbe il manicomio. Ma siccome siamo tanti, l’unica considerazione è che il manicomio è l’Italia. E l’unico sano, che potrebbe essere lo psichiatra, visto da tutti questi malati è considerato matto”. Scherza o dice sul serio? “Ho cercato di usare un tono realistico facendo dell’ironia, un tono italiano. Però adesso le dico che ogni criterio di buona economia o di buona politica su di noi non funziona, perché in questo momento la nostra malattia è vista come una salvezza. E’ come se dicessi a un credente che dio non esiste e che invece di pregare dovrebbe andare in piazza a fare la rivoluzione. Oppure, da psichiatra, dovrei dire a tutti quelli che stanno facendo le vacanze, ma in realtà non le fanno perché non hanno una lira, tornate a casa e andate in piazza, andate a votare, togliete il potere a quello che dice che bisogna abbattere la magistratura perché non fa quello che vuole lui. Ma non lo farebbero, perché si mettono la maschera e dicono che gli va tutto benissimo”. Guardi, professore, che non sono tutti malati. Ci sono anche molti sani in circolazione. Secondo lei che fanno? “Piangono, si lamentano. Ma non sono sani, sono malati anche loro. Sono vicini a una depressione che noi psichiatri chiamiamo anaclitica. Penso agli uomini di cultura, quelli veri. Che ormai leggono solo Ungaretti e magari quel verso stupendo che andrebbe benissimo per il paziente Italia che abbiamo visitato adesso e dice più o meno: l’uomo… attaccato nel vuoto al suo filo di ragno”. E lei, perché non se ne va? “Perché faccio lo psichiatra, e vedo persone molto più disperate di me”. Grazie della seduta, professore. “Prego”. comedonchisciotte.org/forum-cdc/#/discussion/59940/prof-andreoli-litalia-e-un-paese-malato-di-mente
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Gli ogm n Europa: gli Stati membri sono stati chiamati a votare l’introduzione in Ue di mais geneticamente modificato. E l’Italia ha votato sì. Carnemolla (Federbio) e Greenpeace reagiscono. Voltafaccia dell’Italia lo scorso 27 gennaio: a sorpresa vota per gli ogm. La Commissione europea ha chiamato gli Stati membri nel comitato permanente Ue per piante, animali, alimenti e mangimi (Paff) a votare l’autorizzazione di due mais ogm (il BT11 della Syngenta e il 1507 della DuPont Pioneer) e rinnovare l’autorizzazione del mais MON810 della Monsanto, unico ogm finora ammesso. La Commissione non ha ottenuto la maggioranza e la richiesta non ha avuto i numeri per l’approvazione. Intanto non passa inosservato il voto dell’Italia. Gli Ogm: spaccatura tra gli Stati membri Gli Stati membri non sono riusciti a raggiungere la maggioranza qualificata necessaria, nonostante le modalità di voto ora siano cambiate. Ovvero, è possibile votare l’introduzione degli ogm a livello europeo ma vietarne la coltivazione sul territorio nazionale. Infatti, durante la sessione, alcuni dei Paesi che hanno vietato gli Ogm sul proprio territorio, hanno votato a favore dell’introduzione in Europa. Tra questi, l’Olanda e l’Italia. Germania e Belgio si sono astenuti (i rispettivi governi nazionali sono divisi sulla questione), mentre la Francia ha votato contro. L’insulto dell’Italia alla sua agricolturaIl voto dell’Italia a favore delle tre tipologie di mais Ogm non è stato accolto con favore dagli addetti ai lavori del settore. In particolare forti critiche sono state sollevate dal comparto bio. Paolo Carnemolla, presidente Federbio (Federazione Italiana Agricoltura Biologica e Biodinamica), punta il dito contro il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin “da sempre schierata a favore di Ogm e glifosato”. Secondo il presidente della Federazione, la scelta dell’Italia di votare a favore potrebbe essere, almeno in parte, considerato un ennesimo “danno collaterale” della catastrofe del terremoto e delle nevicate in Centro Italia: “Mentre i ministri dell’Agricoltura e dell’Ambiente Martina e Galletti sono impegnati con queste emergenze e il dramma di un tessuto economico e sociale devastato e da ricostruire, la ministra Lorenzin ha avuto modo con un blitz di spostare a favore degli Ogm un equilibrio fra componenti del governo già messo a dura prova all’epoca del voto sull’autorizzazione per il glifosato”. Gli Ogm e il glifosato, da sempre “a braccetto”Ma non è tutto. Per Carnemolla, l’acquisizione da parte della Bayer della Monsanto potrebbe aprire nuovi scenari preoccupanti in tema Ogm. Com’è noto, afferma nella sua nota, glifosato e mais Ogm della Monsanto sono da sempre collegati. Le piante sono selezionate in modo tale che si possa usare una grande quantità del principio chimico. Nonostante il glisofato sia considerato dallo stesso Iarc potenzialmente cancerogeno per gli esseri umani. “Ora che la multinazionale americana è stata acquisita dalla tedesca Bayer, ci ritroviamo in casa enormi interessi economici e soprattutto enormi conflitti di interesse. Il fatto è che anche sulla questione degli Ogm l’Europa non riesce a prendere una posizione univoca e chiara. Del resto, quando la politica balbetta è tempo favorevole di scorribande per i sempre più potenti e solitari padroni della chimica e della genetica, non solo in campo agricolo”, conclude il presidente di Federbio. LEGGI ANCHE: Bayer-Monsanto: nasce il colosso degli OGM Anche Greenpeace dice la sua sul mais ogmReazione dura anche da Greenpeace, che condanna il voto dell’Italia: “Il voto italiano a favore della coltivazione dei tre mais OGM, oltre a dare la zappa sui piedi all’agricoltura europea, è pura ipocrisia, dato che in Italia queste colture sono già vietate. Come spiega il ministro Martina questo autogol?”. Lo dice Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura sostenibile Greenpeace Italia, che continua dicendo: “Gli europei, con gli italiani in testa, chiedono agricoltura sostenibile, e non quella intensiva e dannosa per l’ambiente promossa dalle multinazionali dell’agrochimica”. Proprio per questo, la Commissione Ue dovrebbe “voltare pagina sugli OGM una volta per tutte, e concentrare urgentemente i propri sforzi sull’agricoltura ecologica”. La risposta del MinisteroLa replica del Ministero non tarda ad arrivare, per chiarire la propria posizione sulla questione. “Il ministero delle Politiche agricole ha confermato oggi il suo approccio rispetto alla coltivazione di Ogm in campo, dando come indicazione di voto l’astensione, che equivale da sempre alla contrarietà nel comitato competente Ue dove votano i ministeri della salute europei”, si legge su Repubblica. Di Carmen Guarino Fonte: https://www.ambientebio.it/ambiente/sostenibilita/gli-ogm-italia-favorevole-lorenzin/ Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.
In Australia tre specie di falco appiccano incendi deliberatamente per catturare le prede spaventate dalle fiamme; ciò significa che molto probabilmente questi uccelli controllano il fuoco da prima dell'essere umano, l'unico ritenuto capace di ‘ammaestrare' il pericoloso elemento. Il comportamento eccezionale è documentato da tempo nei racconti degli aborigeni – in particolar modo di quelli che vivono nel Territorio del Nord e nel Queensland – ed è persino rappresentato in alcune delle loro cerimonie. Nonostante l'esistenza di queste testimonianze, per gli studiosi si tratta di un comportamento estremamente complesso da osservare e studiare, così un team di ricerca coordinato da zoologi dell'Università Penn State Altoona (Stati Uniti) ha condotto tra il 2011 e il 2017 una vasta campagna di ricerca, per recuperare tutte le prove del caso e confermarlo definitivamente.
Ma come fanno dei rapaci ad appiccare un fuoco? Naturalmente non avviano incendi da zero, ma ghermiscono ramoscelli in fiamme di incendi preesistenti e li lasciano cadere sulle sterpaglie e sugli arbusti di loro interesse. Alcuni aborigeni hanno raccontato che questi uccelli possono sfruttare persino del materiale rubato dai falò accesi dall'uomo per cucinare. Le tre specie nelle quali è stato confermato il comportamento sono il nibbio bruno (Milvus migrans), il nibbio fischiatore (Haliastur sphenurus) e il falco bruno (Falco berigora). Spesso questi uccelli si appostano ai margini degli incendi in attesa che piccoli mammiferi, rettili, grandi insetti e altri uccelli fuggano dalle fiamme – talvolta si nutrono delle carcasse ancora fumanti -, ma avendo capito che il fuoco può fornire loro parecchio cibo hanno imparato a diffondere le fiamme dove preferiscono. “Alcuni rapaci possono riattizzare incendi spenti o spostarli dalla parte opposta di barriere che potrebbero ostacolare la diffusione delle fiamme”, ha sottolineato il professor Mark Bonta, autore principale dello studio e docente presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell'ateneo americano . Talvolta i rapaci appiccano gli incendi da soli, altre volte lavorano in gruppo. Non sempre vi riescono – i ricercatori hanno osservato diversi tentativi falliti -, ma nella maggior parte dei casi i falchi hanno successo nell'impresa. Il comportamento, per quanto straordinario e affascinante, pone anche delle problematiche sotto il profilo della gestione e della tutela del territorio, per questa ragione una squadra di studiosi lavora a stretto contatto con le comunità aborigene per conoscere tutti i dettagli sul fenomeno, osservato in un'area che si estende per alcune migliaia di chilometri quadrati. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Journal of Ethnobiology. [Credit: Dick Eussen] https://scienze.fanpage.it/perche-i-falchi-in-australia-danno-fuoco-alle-foreste-l-idea-pericolosa-ma-geniale/ Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia. La Cina ha in programma di lanciare la prima rete informatica questo mese di agosto. Chiamato Progetto Jinan, questa rete informatica si basa sulla tecnologia quantistica. Il suo sviluppo pone di diritto il Paese del Sol Levante tra i leader mondiali della tecnologia quantistica. La rete funziona utilizzando la città di Jinan come hub di computer quantistici. La città si trova tra Pechino e Shanghai e servirà proprio per migliorare la rete quantistica di queste due metropoli. Zhou Fei, assistente direttore dell’Istituto Quantum Technology di Jinan, riferisce che si prevede di “utilizzare la rete per la difesa nazionale, la finanza e altri campi, e spero di diffonderla come progetto pilota che, in caso di riuscita, potrebbe essere utilizzata in tutta la Cina e nel mondo intero“. Il che suggerisce che il sistema avrà un impatto globale. Lo sviluppo e l’uso successivo della rete segna un notevole passo avanti per il calcolo quantistico. Jinan sarà la prima rete quantistica utilizzata da un Paese per scopi commerciali. La Cina sta sviluppando anche la macchina Hefei che ha il potenziale di superare tutti gli altri computer quantistici esistenti nel mondo. All’inizio di quest’anno, i ricercatori cinesi hanno anche trasportato con successo un fotone dalla Terra verso un satellite nello spazio utilizzando la fisica quantistica. La rete Jinan è tecnicamente “inaccettabile”. È conosciuta come una rete di distribuzione a chiave quantistica (QKD), molto più sicura delle reti tradizionali di comunicazione elettronica. È possibile intercettare cavi Internet o telefonici senza che il mittente o il ricevitore ne siano a conoscenza. Ma una rete QKD avvisa entrambi gli utenti non appena viene rilevata qualsiasi manomissione o tentativo di hackeraggio in grado di cambiare immediatamente le informazioni inviate all’interno della rete. In tal modo, il “disturbo” viene immediatamente riconosciuto e segnalato. Una volta che la rete entrerà in vigore in agosto sarà tecnicamente impossibile per la Cina essere oggetto di bugging da altri governi. Lo scopo della rete è, per circa 200 membri del governo cinese, la possibilità di poter inviare messaggi totalmente privati. La Cina sta avanzando con la tecnologia quantisticaUna volta completata la rete si estenderà per oltre 2.000 km, rendendola la più grande rete quantistica a livello mondiale. Il fisico quantistico, Tim Byrnes, ha spiegato che “la Cina ha raggiunto enormi quantità di risultati con la ricerca quantistica. La comunicazione quantistica è stata ripresa dal settore commerciale molto più in Cina rispetto ad altri Paesi, il che significa che probabilmente si avvicinerà all’Europa e agli Stati Uniti nel campo della comunicazione quantistica“. L’Europa è determinata a non essere lasciata indietro nella gara quantistica, investendo più di 550 milioni di euro nelle tecnologie quantistiche. Però, la Cina sembra avere più impulso nella sfida. Le tecnologie quantistiche sono state fatturate come lo sviluppo tecnologico più importante del XXI secolo. Fonte: focustech.it/wp-content/uploads/2017/08/cina_rete_quantistica.jpg I sacchetti di plastica hanno bisogno di centinaia di anni per decomporsi. Ma è stato appena scoperto un verme in grado di mangiare e degradare in pochissimo tempo il materiale Diamo la spazzatura in pasto ai vermi. La plastica, più precisamente: in futuro, auspicabilmente, saranno delle larve ad aiutarci nel riciclo di sacchetti, bottiglie e shopper di polietilene, uno dei materiali plastici più comuni. La notizia si deve a uno studio appena pubblicato su su Current Biology, i cui autori hanno scoperto che le larve della tarma della cera (Galleria mellonella), noti parassiti degli alveari, sono in grado di mangiare e degradare la plastica, fornendo così un valido strumento per combattere l’inquinamento dovuto alì materiale, che ha lunghissimi tempi di decomposizione. “La natura è sorprendente”, spiega Federica Bertocchini del Consiglio nazionale delle ricerche spagnolo. “Guardando intorno a noi, abbiamo trovato la soluzione”. La ricerca, coordinata dall’Università di Cambridge in collaborazione con l’Istituto di biomedicina e biotecnologia della Cantabria (Spagna) è avvenuta per caso, quando Bertocchini, apicultrice amatoriale, ha cominciato a pulire le sue arnie dai parassiti della cera delle api. Dopo averli posti in una busta di plastica, la ricercatrice ha notato che in pochissimo tempo il sacchetto si era riempito di piccoli forellini.“Mentre pulivo le mie arnie, ho raccolto i vermi in un sacchetto di plastica”, spiega la ricercatrice. “Dopo un po’ ho notato che il sacchetto di plastica era pieno di buchi”. Bertocchini si è così messa subito in contatto con Paolo Bombelli e Chris Howe dell’Università di Cambridge per svolgere alcuni esperimenti in laboratorio. Il team di ricercatori ha così posto vicino a una busta di plastica un centinaio di larve, osservando che dopo una quarantina di minuti la busta presentava già le prime larve e dopo 12 ore erano spariti ben 92 milligrami di plastica. Dalle analisi, i ricercatori hanno dimostrato che il processo di digestione delle larve stava degradando la plastica tramite la rottura del legame chimico del polietilene per convertirlo in glicole etilenico, un composto organico usato nella produzione di polietilene che si biodegrada in poche settimane. Normalmente, una busta di polietilene impiega più di 100 anni per degradarsi. “La plastica è un problema globale. Al giorno d’oggi, infatti, i rifiuti plastici si trovano ovunque, soprattutto in fiumi e oceani”, spiega l’autrice. Un tasso di degradazione, quello delle tarme della cera, che i ricercatori ritengono essere molto rapido: altri metodi per degradare il polietilene, come l’utilizzo di sostanze corrosive come l’acido nitrico o di alcuni batteri, impiegano mesi per decomporre il materiale. “Non sappiamo come questa capacità si sia evoluta nei vermi della cera, ma potrebbe essere che la decomposizione della cera e della plastica avvenga con un processo chimico quasi uguale. Infatti, cera e polietilene hanno una struttura chimica simile”, spiega ancora Bertocchini. “Se esiste la possibilità che ci sia una molecola responsabile di questo processo, bisognerà isolarla e riprodurla su larga scala, e utilizzarla quindi per degradare i rifiuti di plastica”. Fonte: https://www.wired.it/scienza/lab/2017/04/26/larva-mangia-plastica/ Tra le acque minerali l’acqua di mare è la più completa in quanto contiene quasi tutti gli ingredienti esistenti in natura. Le proprietà benefiche dell’acqua marina sono ben note. Il plasma marino di Quinton come vedremo va molto oltre. Guarire e stare bene con l’acqua di mare Diceva Euripide – “il mare guarisce le malattie degli uomini”. Il nostro corpo è composto in prevalenza da liquidi ed ha una costante necessità di acqua per reintegrarli, cosi come l’acqua è l’elemento predominante anche del nostro pianeta. Le proprietà benefiche dell’acqua di mare per bellezza e salute sono note a tutti. Già la talassoterapia si basa sull’utilizzo dell’acqua marina che viene raccolta, filtrata e riscaldata per far si che preservi le sue proprietà. In combinazione con il clima marino l’acqua di mare è un toccasana per diversi disturbi e può svolgere un’azione antibatterica e rivitalizzante. Plasma di Quinton Il plasma marino contiene quasi tutti gli elementi contenuti nella tavola periodica. I sali minerali e gli oligoelementi sono in esso contenuti nel dosaggio e nella forma corrispondente a quella dell’ambiente interno dell’organismo umano. Il plasma di Quinton, dal nome del suo scopritore Renè Quinton, è acqua di mare opportunamente trattata per le esigenze dell’organismo e resa sterile: ciò permette – assumendola per via orale o in uso topico -di rimineralizzare l’organismo, ristabilendo il metabolismo minerale alterato e l’equilibrio ionico. Ad esempio una cura con acqua di mare moltiplica fino a 10 volte il tasso di magnesio, con notevole miglioramento delle manifestazioni allergiche, dell’assimilazione dei nutrienti e diminuendo le fermentazioni gastriche. Plasma umano e plasma marino La vita viene dall’acqua: ogni individuo i primi nove mesi della propria esistenza è immerso nel liquido amniotico. A seguito dei suoi studi il biologo René Quinton ebbe una suggestiva intuizione: “la composizione del mezzo liquido interno, sangue e linfa, di tutti gli organismi viventi” -ipotizzò – “è fisiologicamente simile all’acqua di mare”. La scienza lo derise, mancavano le prove. Quinton accettò la sfida e organizzò la prova sperimentale in un locale pubblico (laboratorio di Fisiologia Patologica del College de France). L’esperimento fu fatto su un cane del peso di 10Kg che venne dissanguato in quattro minuti. L’animale andò in coma. Quinton sostituì il sangue con 6,6 Kg di acqua di mare diluita con acqua distillata (circa i sette decimi del peso dell’animale): il cane resuscitò. L’esperimento venne ripetuto per confermare che l’acqua di mare è “come sangue” e dunque tale da non comportare mai pericoli, iniettando a un cane “più del suo stesso peso” in acqua marina diluita. Gli animali ripresisi in pochi giorni, saranno “più vivaci di prima” come avessero cioè avuto un preciso beneficio, trovando nell’acqua di mare un apporto vitale superiore a quello stesso del sangue sottratto loro. René Quinton non si accontentò e andò avanti con le sue ricerche che lo portarono successivamente anche alla prova chimica dell’equivalenza fra sangue e acqua di mare per la natura dei sali, per la presenza di oligoelementi e per le proprietà chimiche: per cui confermò l’ipotesi iniziale che “nulla rassomiglia al mezzo liquido interno dell’uomo più della semplice acqua del mare”. Utilizzo del plasma di Quinton Il Plasma di Quinton è pura acqua di oceano sterilizzata a freddo. L’acqua di mare è ricca di oligoelementi e sali minerali, elementi che entrano nel nostro corpo attraverso la pelle riattivando in questo modo la circolazione, stimolando il metabolismo e le attività d’assimilazione e d’eliminazione. In quali casi è utile l’acqua di mare Quinton Gli ambiti in cui è consigliata l’assunzione o l’applicazione cutanea del plasma di Quinton sono davvero molti: in ambito dermatologico per acne, foruncoli, blefariti, eczemi, psoriasi, punture di insetti, orticaria, per citarne alcuni. Per l’apparato gastroenterico in casi di afte, colite, colon irritabile, diarrea, gastrite, gastroenterite, stipsi, emorroidi. A supporto delle problematiche dell’apparato sessuale, ginecologiche: andropausa, astenia sessuale, candidosi, sindrome premestruale, menopausa. In diversi ambiti della pediatria, a supporto delle problematiche relative all’apparato endocrino, per l’apparato scheletrico, come integratore alimentare e molto altro ancora. L’acqua di mare viene raccomandata per curare le artrosi, le infiammazioni dei tendini, dei muscoli e dei nervi, delle prime vie respiratorie e per combattere l’obesità e la cellulite. Il plasma di Quinton bevuto a stomaco vuoto, può guarire numerosi disturbi: dermatiti, psoriasi, allergie alimentari, riniti e sinusiti, osteoporosi, dolori reumatici, astenia e sindromi depressive. Le formulazioni disponibili Il plasma di Quinton è considerato a tutti gli effetti un nutraceutico, e lo si trova in vendita in farmacia, per uso sia esterno che interno, in 4 formulazioni, indicate sotto e ben descritte sul sito di PromoPharma sul quale sono accessibili le schede di prodotto seguenti:
In sintesi Molto bella la definizione di Promopharma che sintetizza questo sorprendente prodotto della natura: “un concentrato di preziosi elementi capace di rigenerare e rivitalizzare il metabolismo attraverso un profondo ricambio minerale dell’organismo”. Claudio Monteverdi Bibliografia consigliata
Fonte: www.naturopataonline.org/rimedi-naturali/integratori/758-quinton-il-rimedio-naturale-che-viene-dal-mare.html L'Aia, 10 gen. (askanews) - L'intera flotta di treni in servizio in Olanda dall'1 febbraio sarà alimentata dall'energia eolica. Lo ha annunciato oggi la compagnia ferroviaria nazionale (Ns) assicurando che si tratta di una prima mondiale. "Dall'1 febbraio, il 100% dei nostri treni funzionerà a energia eolica", ha affermato Ton Boon, portavoce di Ns, spiegando che le ferrovie hanno "lanciato una gara in tal senso due anni fa". Il produttore olandese Eneco la ha vinta e le due società hanno firmato un contratto per dieci anni, con l'obiettivo di dare inizio al progetto l'1 gennaio 2018. "Ma abbiamo raggiunto il nostro obiettivo un anno prima del previsto", ha spiegato Boon, sottolineando il miglioramento dell'offerta dell'eolica grazie alla costruzione di grandi parchi al largo dei Paesi Bassi. Su un altro sito internet che hanno creato, Eneco e Ns assicurano che i 600.000 passeggeri giornalieri sono "i primi al mondo" a viaggiare grazie al vento. La Ns, che effettua ogni giorno 5.500 corse, consuma all'anno 1.200.000.000 kWh. Una pala eolica che funzioni per un'ora consente di far avanzare un treno per 200 chilometri, affermano le due società, che puntano a diminuire l'energia utilizzata per passeggero del 35% entro il 2020 rispetto al 2005. (con fonte Afp) it.notizie.yahoo.com/olanda-dall1-febbraio-100-dei-treni-alimentato-dal-174219047.html "Il cuore è l’inverso (maqlûb) delle realtà contingenti, nel senso che è il loro contrario: la sua luce è primordiale e divina (qadîm ilâhî)”[1].
L’Altissimo ha detto: «L’Uomo è il Mio segreto ed Io sono il suo segreto»[2]. Il nostro precedente intervento si concludeva con una menzione della natura spirituale dell’Unità, considerata in particolar modo nel suo significato iniziatico, come il raggiungimento del «centro del cerchio», ossia il centro del proprio essere, in cui tutti i contrasti e tutti gli opposti cessano di esistere, poiché sublimati nella loro comune origine superiore. Tutto ciò ha luogo nel cuore dell’uomo: l’Unità ivi realizzata viene espressa, tradizionalmente, come Pace, dal momento che essa è il contrario della guerra, intesa come lotta opponente forze contrarie e contrastanti, che nel punto originale non hanno più modo di esistere[3]. La Presenza pacificante (Sakîna) nel cuore. Un equivalente simbolico della Pace è, in questo senso, la Sakîna: il vocabolo designa la “Presenza divina, pacificante” e deriva dalla radice SKN che esprime, in arabo, le idee di “essere calmo; placarsi; stare tranquillo”. “Essere quieto” e “sentirsi sicuro” passano poi a significare, soprattutto nel contesto di una civiltà fortemente nomadizzata, come quella semitica, “abitare, risiedere in un luogo”. La Sakîna, che è l’esatto equivalente dell’ebraico shekinah, è la serenità, la trasformante pace interiore che deriva dalla presa di coscienza, fatta dal credente, dell’operante presenza di Dio nel suo cuore. Si tratta, evidentemente, di una presenza comune ad ogni essere, in quanto spirito e soffio vitale, poiché altrimenti la creatura non potrebbe nemmeno esistere, mancando in essa la sua propria ragion d’essere, il suo principio. È la stessa Rivelazione coranica a rammentarlo: “In verità Noi abbiamo creato l’uomo e Noi sappiamo ciò che la sua anima gli sussurra. Noi siamo più vicini a lui della sua stessa vena giugulare”[4]. Tuttavia nell’ordinaria condizione dell’esistenza mondana, l’uomo ne è dimentico, e questo stato d’oblio gli rende necessaria l’entrata nella Via (tarîqa) ed il percorso di realizzazione spirituale, affinché per mezzo della morte iniziatica (fanâ’) e dello svelamento intuitivo (kashf) l’uomo percepisca e gusti l’originaria realtà divina, di cui fino a quel momento era rimasto immemore. Ecco dunque un passo in cui l’Unità e la Sakîna si presentano congiunte ed inequivocabilmente legate: “Allâh fece quindi scendere su di loro [cioè i cuori] la Presenza pacificante (sakîna) della Sua intimità (uns) e stabilì l’albero dell’Unità nei loro cuori, albero le cui radici scendono fino al settimo livello sotto di noi ed i cui rami si diffondono nei sette cieli sopra di noi, fino al Trono divino e forse più in alto ancora”[5]. L’albero rappresenta qui la realizzazione effettiva, nella costituzione spirituale umana, della natura di Servo e Vicario perfetto, in quanto l’Uomo Universale (al-insân al-kâmil) è il compendio dell’Universo intero, Cielo e Terra[6]. Più avanti, nello stesso testo di Jîlânî, si legge infatti: “L’uomo contiene tutto l’universo nel suo essere: è per questo motivo che viene chiamato l’essere sintetico (kawn jâmi‘), il microcosmo”[7]. Il legame di correlazione e, secondo una certa prospettiva, di identità tra la Sakîna e la Pace trova poi una sua conferma tradizionale grazie all’applicazione della scienza sacra delle lettere: il Nome divino che corrisponde a Sakîna è Sâkin, vale a dire «l’Abitante, Colui che risiede» nel cuore. Ebbene, il valore numerico di quest’ultimo termine, che è 131 (S + Â + K + N = 60 + 1 + 20 + 50 = 131), è lo stesso del Nome divino Salâm, «la Pace» (S + L + Â + M = 60 + 30 + 1 + 40 = 131)[8]: la Sakîna è, infatti, “una manifestazione circostanziata della Pace divina, mentre si identifica, rispetto agli uomini, alla «forza pacificatrice»”[9]. La Rivelazione coranica, inoltre, mette in stretta correlazione la discesa della divina Presenza pacificante nei cuori con la fede, anzi, con un aumento di fede: “Egli [cioè Dio] è Colui che fa discendere la Presenza pacificante (Sakîna) nei cuori dei fedeli (mu’minîn), affinché essi aumentino fede (îmânan) con fede”[10]. E la fede è “una luce divina (nûr ilâhî) che Dio getta nel cuore di chi Egli vuole fra i Suoi servi”[11], poiché in un versetto coranico è detto: “Così Noi ti rivelammo uno spirito, per Nostro ordine. Tu non sapevi cosa fosse il Libro né la Fede (îmân), ma noi l’abbiamo posta come una luce (nûran) con la quale guidiamo chi vogliamo fra i Nostri servi”[12]. Una volta di più è presente, negli sviluppi dottrinali relativi al cuore, il complesso simbolismo della luce, connessa con la Sakîna, con la Fede, con la Scienza[13] e, si vedrà meglio in seguito, con lo Spirito. L’aspetto luminoso di queste realtà viene, per così dire, rifratto dallo specchio lucidato del cuore: questo specchio è propriamente la superficie che riflette in maniera migliore e più perfetta la luce incidente che proviene dall’alto. Lo specchio non origina la luce, ma quanto più è tornito e polito, tanto più ne dà un riflesso forte e sfolgorante: è questa l’azione trasformante, nel cuore del Santo, della Luce divina, che è insieme Fede e Spirito. La luce riverbera nello specchio del cuore, illimpidito grazie al dhikr ed al lavoro di purificazione interiore, sicché esso risulta perfettamente riflettente, ed è per questo che possiamo affermare che la Sakîna, in questo senso, è luce proveniente dalla Luce (si ricordi che al-Nûr, «la Luce», è uno dei Nomi dell’Essenza, asmâ’ al-dhât[14]), proiettata sul cuore, accolta da questo e da lui irradiante in ogni direzione. Si potrà dire anche in tutto l’universo, poiché l’Uomo Universale è il centro dell’Universo, ossia il Cuore del Mondo. Il centro dell’Uomo è il suo cuore, e il cuore contiene la Luce. L’«occhio del cuore» (‘ayn al-qalb). Il cuore non opera soltanto un’azione di riflessione della luce, bensì anche la percepisce, poiché possiede un occhio, chiamato appunto “occhio del cuore” (‘ayn al-qalb). Si tratta precisamente di un organo capace di percezione, poiché contiene in sé, in maniera connaturata, un elemento coessenziale all’oggetto percepito. Se non fosse così, non sarebbe di fatto possibile, da parte dell’occhio, avvertire la luce: in altre parole, se l’organo di senso e l’oggetto di questo medesimo senso fossero del tutto eterogenei, non avrebbero alcun aspetto in comune, dunque non vi sarebbe alcuna relazione possibile fra i due. Semplicemente, l’uno non potrebbe avere alcun sentore dell’altro. È questo il principio irrinunciabile di qualsiasi gnoseologia tradizionale: “Il vero organo della vista non è il globo oculare, né la pupilla, e neppure la retina, ma un principio luminoso che risiede nell’occhio, ed entra in comunicazione con la luce emanata dagli oggetti esterni o da essi riflessa; [...]. Bisogna inoltre notare che il raggio luminoso mediante il quale si effettua la percezione visiva, e si estende tra l’occhio e l’oggetto percepito, può essere inteso nei due sensi, sia come se partisse dall’occhio per raggiungere l’oggetto, o, reciprocamente, come se provenisse dall’oggetto e procedesse verso la pupilla oculare”[15]. In totale conformità a quanto detto si esprime, infatti, Ibn ‘Arabî: “la luce non è percepita che dalla luce”[16] e “Sappi che la luce diffusa sulla terra, proveniente dall’irraggiamento del sole pervadente l’atmosfera, non possiede alcuna realtà ontologica che grazie alla luce della vista che percepisce. È per questa ragione che quando s’incontrano i due “occhi”, quello del sole e quello della vista, gli oggetti ne sono illuminati”[17]. Poiché l’intera realtà manifestata non è che un simbolo dell’autentica Realtà principiale, sarà sempre possibile e lecito trasporre l’ambito e la struttura di ogni elemento sensibile, in questo caso il senso della vista, nella sfera spirituale corrispondente, ossia l’occhio del cuore. “La trasposizione del simbolismo solare[18] dall’ordine cosmico a quello principiale ci è suggerita dall’evidenza stessa del versetto coranico della Luce: «Allâh è la luce dei cieli e della terra» (Cor., XXIV, 35)”[19]. L’occhio del cuore si apre[20] grazie ai mezzi operativi forniti dall’iniziazione e dalla realizzazione spirituale, simboleggiata dal viaggio, dal cammino (sulûk) interiore compiuto all’interno di sé stessi. L’esito ed il fine ultimo coincidono con la Conoscenza suprema e senza limiti, esperita e vissuta tramite il cuore e nel cuore, poiché esso è l’unico organo e ricettacolo capace di accogliere il Principio nella sua Assolutezza (itlâq)[21]. Ne consegue che “colui che conosce se stesso nella «verità» dell’«Essenza» eterna ed infinita, quegli conosce e possiede ogni cosa in se stesso e da se stesso, poiché è giunto a quello stato incondizionato che non lascia fuori di sé nessuna possibilità”[22]. A ciò si riferisce il famoso hadîth: “Colui che conosce se stesso conosce il suo Signore” (man ‘arafa nafsa-hu fa-qad ‘arafa Rabba-hu), “e tale conoscenza è ottenuta mediante quello che viene chiamato l’«occhio del cuore», il quale non è altro che l’intuizione intellettuale stessa”[23]. Tramite l’occhio segreto del suo cuore, dichiara Jîlânî, il credente vedrà la Verità divina; ciò si verifica grazie ad una sublime specie di digiuno, chiamato «digiuno della Verità» (sawm al-haqîqa), che consiste nel “prevenire il cuore dall’amare qualche cosa che non sia Allâh. Questo digiuno si attua rendendo l’occhio del cuore cieco a tutto quel che esiste, perfino ai mondi nascosti al di là di questo nostro mondo[24], ad esclusione dell’amore per Allâh”. Il premio finale di questa disciplina iniziatica sarà, come dono di grazia elargito da Dio al Suo servo amato, la Visione suprema: “Il mio cuore ha visto il mio Signore mediante la luce del mio Signore”[25], disse ‘Umar. Qualche secolo più tardi, al-Hallâj esclamerà estaticamente: “Ho visto il mio Signore con l’occhio del mio cuore; Gli ho chiesto: «chi sei?», m’ha detto: «tu»!”[26] . È Dio stesso a garantire all’uomo la realizzazione di questa stazione spirituale, nel notissimo hadîth qudsî: “Affinché il Mio servo si avvicini a Me, nulla Mi è più gradito di quanto gli ho prescritto. Con le sue pratiche supererogatorie (nawâfil) egli si avvicina ancor più a Me, al punto che Io lo amo. E se Io lo amo, Io sono il suo orecchio con il quale egli sente, il suo occhio con il quale egli vede, la sua mano con la quale egli lavora e il suo piede con il quale egli cammina”[27]. È per tale ragione che Ibn ‘Arabî può scrivere: «Nessuno Lo percepisce se non Lui! Dunque io Lo vedo – Gloria a Lui! – mediante il Suo Occhio, come nel detto profetico: “Io divengo l’occhio con cui egli vede”», poiché «Egli è Luce e la luce non è percepita che dalla luce, quindi non è percepita che da Lui»[28]. La Luce. Ghazâlî argomenta, da parte sua, che in realtà “l’intelletto” -inteso come la facoltà sovrarazionale che ha sede nel cuore- “più che l’occhio esterno, sarebbe da chiamarsi «luce»”[29]: il cuore purificato e puro diviene esso stesso, per così dire, “tutto luce”, sicché più volte si potranno leggere affermazioni come quella di Jîlî: “il cuore è la luce eterna (al-nûr al-azalî)”[30]. Queste parole ci richiamano immediatamente al noto e già citato versetto coranico detto “della luce”[31]: “Dio è la Luce dei cieli e della terra. Il Simbolo della Sua luce è quello di una nicchia in cui sta una lampada, la lampada sta in un vetro, il vetro è come una stella lucente, accesa all’olio di un Albero benedetto, un olivo che non è d’Oriente né di Occidente; olio che quasi splende anche se il fuoco non lo tocchi, Luce su luce: Dio guida verso la Sua Luce chi vuole e propone similitudini agli uomini, e Dio è di ogni cosa Sapiente”[32]. Si tratta qui di un contesto che illustra, attraverso similitudini (amthâl, in arabo), vale a dire espressioni allegoriche, una complessa realtà simbolica, come si può comprendere facilmente, secondo quanto si afferma in modo esplicito nell’ultima parte del versetto: “E [Dio] propone similitudini agli uomini”, che riguardano l’intero cosmo. Ghazâlî così commenta: “Non vi è nulla in questo basso mondo che non sia l’immagine di una cosa del mondo superiore”[33]. Le stesse immagini presenti nel versetto sono suscettibili di una pluralità di interpretazioni ed applicazioni dottrinali: le une non escludono le altre, ma anzi si completano e si arricchiscono a vicenda, in una pluralità di punti di vista tutti ugualmente validi e legittimi[34]. Tutto ciò si applica anche a proposito del versetto “della luce”, oggetto di molteplici approccî esegetici nell’opera di Ibn ‘Arabî: “la ricchezza del suo [del versetto, N.d.T.] contenuto permette al commentatore di accostarvisi secondo diversi punti di vista, metafisico, cosmologico, iniziatico”[35]. Più precisamente, secondo una prospettiva interpretativa, il vetro o cristallo (zujâj) rappresenta il cuore che si trova all’interno della nicchia (mishkât), immagine del corpo umano. La natura del cuore, diafana ed irraggiante insieme, è analoga a quella del vetro. Se la trasparenza propria di quest’ultimo è un’immagine del cuore che accoglie e riflette nella maniera più perfetta la luce, subito dopo, nel versetto coranico, vi è la menzione di una stella lucente (kawkab durrî)[36], quindi irraggiante, alla quale il vetro, a motivo della sua estrema luminosità, deve essere assimilato. Ciò corrisponde a quanto detto poco sopra, a proposito della natura irraggiante (quindi in un certo senso “attiva”) del cuore stesso, o meglio dell’occhio del cuore, che contiene la luce, perciò può spanderla, e quindi non si limita a rifletterla passivamente. Il cristallo contiene al suo interno una lampada, in arabo misbâh, che designa precisamente la lucerna, lo strumento con cui si fa luce: essa raffigura, per eccellenza, lo Spirito[37]. Ed ecco la spiegazione di questo versetto fornita, brevemente, da Jîlânî: “La ‘nicchia’ sta a simboleggiare il cuore del credente; la ‘lampada’ che la rischiara è il segreto del centro del cuore, mentre la luce che essa emana è il segreto divino, lo ‘spirito sovrano’. Il vetro è trasparente e non trattiene la luce, piuttosto la protegge e le permette di diffondersi, ed è per questa ragione che viene paragonato ad una stella. La fonte della luce è un albero divino. Quell’albero è lo stato dell’Unità (al-tawhîd al-khâss)[38] che si estende con i suoi rami e le sue radici, diffondendo i princìpi della fede, comunicando, senza intermediario alcuno, nella lingua della santità (lisân al-quds)”[39]. Secondo i principî ermeneutici applicati da Ibn ‘Arabî, “al livello dell’individuo, l’aspetto di cavità della nicchia ne fa l’immagine del cuore illuminato dalla scienza divina che procura la fede[40]. In una interpretazione più precisa, essa designa l’involucro esterno del cuore che essa ripara dal soffio delle passioni (maqâm al-sitr min al-ahwâ’). Il vetro è allora il simbolo del cuore che ha ottenuto la stazione della purezza (maqâm al-safâ’)”[41]. Maggiore è la sua trasparenza, maggiore è la sua somiglianza alla luce stessa[42]. Analogamente, secondo questa visione dottrinale, l’olivo che non è né orientale né occidentale rappresenta il Conoscitore (al-‘ârif) “giunto alla stazione suprema che è infatti un’assenza di stazione o una trascendenza rispetto ad ogni qualificazione secondo un qualunque stato”[43]. Lo Spirito e la Luce. Questo versetto ci introduce ad una delle espressioni metafisiche più pregnanti ed imprescindibili dell’intero Tasawwuf, vale a dire l’assimilazione essenziale di Luce e Spirito, la prima essendo un equivalente simbolico del secondo. Le seguenti parole di Guénon chiariscono brillantemente il rapporto fra queste due realtà e la loro relazione, nell’aspetto macrocosmico, con l’Uomo Universale che è il vero Cuore del Mondo, secondo un’applicazione “cosmica” del valore simbolico del cuore: “la Luce intelligibile è l’essenza (dhât) dello «Spirito» (Er-Rûh), e quest’ultimo, quand’è inteso in senso universale, si identifica con la Luce stessa; è per questa ragione che le espressioni En-Nûr el-Muhammadî e Er-Rûh el-muhammadiyah[44] sono equivalenti, poiché sia l’una sia l’altra indicano la forma principiale e totale dell’«Uomo Universale», il quale è awwalu khalqi’Llah, «il primo della creazione divina». È il vero «Cuore del Mondo»[45] […], «Cuore dei cuori e Spirito degli Spiriti» (Qalbul-qulûbi wa Rûhul-arwâh)”[46]. Come già ricordato, al-Nûr, «la Luce» è un Nome divino, ed è un Attributo essenziale del Principio; ora, “essendo la luminosità di ordine essenziale in rapporto alla luce (al-diyâ’ li-l-nûr dhâtî), il suo Reame (mulk al-diyâ’) è quello dei Nomi divini, in quanto essi costituiscono la luminosità dell’Essenza”[47]. Perché l’Essenza suprema è in se stessa al di là di qualsiasi manifestazione o conoscenza possibile, ed è soltanto attraverso i Suoi innumerevoli Nomi che essa si manifesta e può essere conosciuta. Dato che la prima determinazione dell’Essenza, rispetto al mondo manifestato, è costituita dalla Funzione di Divinità (ulûhiyya)[48], quest’ultima rappresenta la stessa essenza della luminosità. Così si esprime Ibn ‘Arabî in proposito: “(Allâh) «ha fatto del sole una luminosità» (ossia una luce diffusa)»[49], grazie alla presenza dello Spirito vitale [rûh] in tutto il cosmo, e mediante la Vita [hayât] ha manifestato la Misericordia [rahma] al mondo (intero), poiché la Vita è la sfera della Misericordia che è più vasta [wasi‘at] di ogni cosa”[50]. […] Essa è la Misericordia essenziale (al-rahmat al-dhâtiyya) più vasta di tutti i Nomi, ed è la luminosità della Luce dell’Essenza (diyâ’ nûr al-dhâtî)”[51]. Il Trono e la Misericordia. Lo Shaykh al-Akbar ci suggerisce, grazie a queste parole, un sentiero dottrinale che conduce, per più parti, dal cuore alla Misericordia, per ritornare, in qualche modo, al cuore stesso: si rammenti il detto profetico secondo cui “i cuori dei figli di Adamo si trovano tra le due dita del Misericordioso. Egli li rivolta come vuole”[52]. Ora, al-Rahmân, il Misericordioso, è il Nome divino corrispettivo della rahma, la qualità essenziale della Misericordia. Un altro hadîth, poi, dichiara: “Il cuore del credente è il trono (‘arsh) di Allâh”[53], che Ghazâlî così interpreta: “la forma del cuore per quanto riguarda il governo umano è come quella del Trono”[54]. Ma il trono di Allâh non è altro che il trono del Misericordioso, secondo il versetto divino che suggerisce un’equivalenza Allâh – al-Rahmân: “Invocatelo come Allâh (Iddio) o invocatelo come Al-Rahmân (il Misericordioso), comunque lo invochiate, a Lui appartengono i Nomi più belli”[55]. Secondo l’astronomia tradizionale, il Trono è l’ultima delle nove sfere che circondano quella centrale della Terra, è la sfera suprema; la sua sfericità è però una forma puramente simbolica, poiché serve a designare, in conformità ai limiti del linguaggio umano, “il passaggio dall’astronomia alla cosmologia integrale e metafisica”[56]. Il Trono è infatti “il simbolo della manifestazione universale considerata nel suo dispiegamento totale, che comporta l’equilibrio e l’armonia”[57], come si può dire che lo Spirito (al-Rûh) “si identifica in certo modo con il «Trono» stesso, dato che quest’ultimo, circondando e avvolgendo tutti i mondi (da cui l’epiteto el-Muhît)[58], viene a coincidere con la «circonferenza prima»”[59]. Quest’ultima “delimita ed avvolge l’ambito dell’Esistenza universale” e “d’altronde, considerata simultaneamente in tutte le direzioni possibili, è un realtà una sfera, la forma primordiale e totale dalla quale nasceranno per differenziazione tutte le forme particolari”[60]. Ora, la Rivelazione coranica esprime a chiare lettere come il Trono sia la dimora dell’“assise” di al-Rahmân: “Il Misericordioso s’è assiso (istawà) sul Trono”[61]. Questo Nome divino ha un significato prettamente ontologico, e si rapporta in modo particolare alla manifestazione di questo mondo[62], come si può leggere nella sura che ha per titolo questo Nome: “Al-Rahmân ha insegnato il Corano e ha creato l’Uomo”[63]. Recita poi un altro versetto: “Colui che ha creato i Cieli e la Terra e ciò che essi contengono in sei giorni, poi s’assise sul Trono: al-Rahmân”[64]. L’assise sul Trono avviene in seguito alla menzione della creazione in sei giorni, dal momento che “i sei giorni simboleggiano le sei fasi del tempo, che corrispondono alle sei direzioni dello spazio, mentre il trono di ar-Rahmân rappresenta il «Cuore del Mondo»”[65]. Dal punto di vista macrocosmico, il Trono non è altro che il punto centrale e principiale della sfera dell’Essere, che si espande indefinitamente secondo le sei direzioni dello spazio; ed è a ciò che si riferiscono le parole di Guénon: “siccome […] le direzioni dell’estensione ricoprono tutte lo stesso ruolo, l’espandersi che si effettua a partire dal centro può venir considerato sferico, o per meglio dire sferoidale: il volume totale, come da noi già indicato, è uno sferoide che si estende indefinitamente in tutti i sensi”[66]. Nell’esoterismo islamico questa realtà viene designata specificamente dal termine tasha‘‘ub che identifica il «movimento (di ramificazione) in tutte le direzioni», a partire dal punto centrale, di una serie indefinita di raggî o rami, chiamati shu‘ab, dalla medesima radice[67]. In una prospettiva simbolica relativa allo spazio, viene dunque ribadito il valore della centralità del cuore, come punto di origine (e di riassorbimento finale) dello sferoide indefinito, mentre dall’altro lato viene riaffermato il simbolismo luminoso del cuore, a motivo del suo irraggiamento, che poi è anche irradiazione, secondo le direttive delle sei direzioni spaziali[68]. Per quanto riguarda la natura del Trono, le sue designazioni esoteriche sono molteplici, ma variamente equivalenti, poiché ognuna di esse implica un diverso riferimento metafisico. Ciò rende impossibile, al momento, una trattazione che vada oltre la loro mera elencazione[69]: diremo soltanto che si parla del Trono della Vita (‘arsh al-hayât), poiché in un versetto viene detto che “il Trono era presente nell’Acqua”[70] e l’acqua è, tradizionalmente, la radice di ogni forma di vita[71]; e ancora, di Trono dell’Ipseità (‘arsh al-huwiyya), che è un equivalente dell’Essenza suprema. Ed il Trono dell’Essenza suprema (‘arsh al-Dhât), secondo Abû Tâlib al-Makkî, altro non è che la Volontà divina (mashî’a)[72], vale a dire quella che viene altrimenti chiamata, negli scritti guenoniani, “Possibilità universale” ovvero “perfezione passiva”[73]. Più precisamente, si può affermare che la mashî’a sia l’Essenza suprema considerata secondo il suo aspetto passivo, come “origine di tutte le limitazioni” e “principio ultimo i condizionamenti considerati in quanto possibili”[74]. Tornando al livello cosmologico, quanto detto sulla passività della mashî’a non può non esser messo in correlazione con il medesimo carattere passivo attribuito al Rûh, identificato al Trono stesso: “Questo carattere di passività è effettivamente inerente al doppio ruolo di «strumento» e di «luogo» universale […][75]; così, in arabo er-Rûh è una parola femminile”[76]. L’istmo (barzakh). La citazione delle righe precedenti continua illustrando la doppia natura dello Spirito, attivo e passivo ad un tempo, dal momento che esso è passivo rispetto alla Verità divina (al-Haqq), ma attivo rispetto alla creazione (al-khalq). Il Trono è il limite estremo fra l’una e l’altra, è insieme il loro punto di contatto ed il loro punto di separazione, ciò che nel Tasawwuf si definisce barzakh, vale a dire la realtà intermedia, l’istmo che divide e separa, ma allo stesso tempo unisce e sintetizza i due estremi. La derivazione di questo termine è coranica: “(Iddio) ha dato libero corso ai due mari, uno dolce e fresco, l’altro salato e amaro, e ha posto fra i due un istmo (barzakhan) ed un limite invalicabile”[77] e ancora “Egli ha lasciato libero corso ai due mari, perché s’incontrassero, e fra di loro v’è una barriera (barzakh) che essi non oltrepassano”[78]. I due mari, lo accenniamo soltanto, rappresentano il mondo dell’anima ed il mondo dello Spirito, il cui punto d’incontro è, simbolicamente, il luogo in cui si trova la «Fontana di Vita»[79]. Il Trono è il barzakh per eccellenza, poiché è il termine divisorio “attraverso cui la creazione è separata dal suo Principio divino e al tempo stesso gli è unita, a seconda del punto di vista dal quale la si considera”[80]. Trasposto nell’ambito microcosmico, il barzakh per eccellenza è il cuore, come ci fa capire al-Tadilî: “Tutti i barâzikh [gli istmi, plurale di barzakh] dell’uomo dipendono dal suo barzakh centrale, che è il cuore (qalb), mediatore fra i domini dello Spirito (Rûh) e dell’anima individuale (nafs)”[81]. Il punto più interno del cuore è il punto di contatto con il Divino[82], supporto misterioso e nascosto della Presenza divina, la Sakîna, poiché “l’azione divina si esercita sempre dall’interno, e per questo essa non colpisce lo sguardo, volto necessariamente verso le cose esterne”[83]. Nella prospettiva iniziatica, attraverso la realizzazione spirituale, l’uomo si fa poi “tutto cuore”, potremmo audacemente dire, poiché egli attua in se stesso la sua natura di epitome dell’Universo e di Vicario divino, ossia di barzakh microcosmico: “[Dio l’Altissimo] mise [nell’uomo] una Copia di tutto il Mondo, per cui non vi fu realtà nel mondo senza che si trovasse [anche] nell’Uomo: la Parola Totalizzante, il Nobile Compendio (al-mukhtasar al-sharîf)”[84]. Se il barzakh è la realtà mediana che unisce tutti gli estremi altrimenti incompatibili, ciò significa che il cuore, il barzakh dell’Uomo Universale effettivamente realizzato, è il punto centrale che sintetizza ogni cosa, comprendendola in sé in maniera compendiosa ed essenziale. Il cuore contiene ogni cosa. Ciò vuol dire che in una ancora ulteriore prospettiva, il cuore non solo è il Trono, bensì lo contiene e quest’ultimo “sparisce” di fronte alla divina vastità dal cuore abbracciata. Ibn ‘Arabî, nei Fusûs al-hikam, nel corso del capitolo su Shu‘ayb[85], cita in proposito un detto di Abû Yazîd al-Bistâmî: “Se il Trono e ciò che contiene si trovassero cento milioni di volte in un angolo del cuore del Conoscitore, egli non li percepirebbe”, e commenta: “Un cuore che è capace (yasi‘u)[86] dell’Eterno, come potrebbe percepire l’esistenza prodotta del contingente?”[87]. Non v’è, infatti, possibile comune misura fra i due. È quanto afferma Guénon, nell’ottica specifica della realizzazione spirituale: “non vi è d’altronde alcuna possibilità di paragone fra uno stato particolare, per elevato che sia, e lo stato totale ed incondizionato; non bisogna mai dimenticare che, rapportata all’Infinito[88], tutta la manifestazione[89] è rigorosamente nulla”[90]. La medesima esperienza iniziatica viene espressa da Al-Hallâj, nel linguaggio del suo personale gusto spirituale: “Mi stupisco di come il mio tutto riesca a regger la mia Parte essa è così pesante che la terra non la sopporterebbe. Se anche si espandesse, per tutto l’orbe estendendosi, quella distesa nel mio pugno rimarrebbe racchiusa”[91]. Ed in altri versi canta: “Ti fa posto il mio cuore tutto intero, lì non c’è spazio per cosa creata. Tra la pelle e le ossa Ti trattengo, che ne sarà di me se mai Ti perdo?”[92]. Lo scrigno ed il tempio. Tutto ciò è possibile poiché lo Spirito risiede nel cuore, il quale ne è il tempio, vale a dire un ricettacolo, un supporto esteriore della Presenza divina. Quest’idea tradizionale viene espressa in ambito islamico dal termine tâbût, “cofano, scrigno”, che designa sia l’Arca dell’Alleanza, che eminentemente contiene la Sakîna[93], sia la cesta in cui viene posto Mosè bambino[94]. A proposito dei rapporti fra il barzakh ed il tâbût, considerati come due differenti modalità funzionali e significative del cuore, bisogna senz’altro notare come i due siano per lo meno ravvicinabili, poiché i loro valore numerico è il medesimo, e ciò implica -nel contesto dottrinale della Scienza delle Lettere- una qualche sostanziale identità fra i due termini, almeno ad un certo livello: infatti, B + R + Z + KH = 2 + 200 + 7 + 600 = 809 e T + Â + B + W + T = 400 + 1 + 2 + 6 + 400 = 809. Il centro che è sede della Sakîna è “il luogo della manifestazione divina, sempre rappresentata come «Luce»”[95] e può essere costituito da un tempio o da un tabernacolo, detto in arabo mishkât, «nicchia», in ogni caso rappresentazioni sensibili della funzione reale del cuore dell’Uomo, con il quale sono in stretta ed esplicita correlazione[96]: “si tratta sempre, in fasi diverse della manifestazione ciclica, del Pardes, il centro di questo mondo, che il simbolismo tradizionale di tutti i popoli paragona al cuore, centro dell’essere e «residenza divina» (Brahma-pura nella dottrina indù), come il Tabernacolo che ne è l’immagine e che perciò è detto in ebraico mishkan o «abitacolo di Dio», parola la cui radice è la stessa di Shekinah”[97]. Analogamente, nella tradizione indù, la Città divina, è questo il significato di Brahma-pura, designa il centro dell’essere, rappresentato dal cuore: essa è la residenza di Purusha, vale a dire il Principio divino in quanto reggitore di tutto l’insieme dell’essere e delle sue facoltà. Queste ultime, assieme alle funzioni vitali, sono paragonate ai sudditi del re, che risiede nel tempio-palazzo al centro della città[98]. Per la sua sola presenza, Purusha illumina ogni cosa con il suo irradiamento, “immagine della sua attività ‘non-agente’ mediante la quale è realizzata ogni manifestazione, secondo la ‘misura’ determinata dall’effettiva estensione di tale irradiamento”[99]. Nell’Islâm, il tempio non è altro che la Ka‘ba, chiamata infatti Bayt Allâh, la Casa di Dio, che viene allora identificata, nel suo significato autentico, al cuore dell’Uomo[100], il quale è l’unico essere che è capace di contenere la Presenza divina, secondo il noto hadîth qudsî: “La Mia Terra ed il Mio Cielo non Mi contengono, ma Mi contiene il cuore del Mio servo fedele (al-mu’min)”. È per questo che Tirmidhî può dire: “Il cuore è il forziere di Allâh”[101], dove khizâna, “forziere, scrigno, cassa” è in effetti un sinonimo di tâbût. “A livello spirituale, si tratta della residenza divina nell’uomo, che […] è anch’essa celata nella cavità più profonda del cuore, a partire dalla quale viene irraggiato lo spirito (rûh)”[102]. L’analogia inversa. Affermare che il cuore contiene lo Spirito significa dire che nella realtà più piccola risiede la realtà più grande: ritroviamo qui applicata la legge dell’analogia inversa, secondo la quale il più grande nell’ordine trascendente viene riflesso dalla realtà più piccola nell’ordine della manifestazione sensibile[103], poiché “il simbolismo è fondato, nella sua definizione più generale, sulle corrispondenze che esistono tra i diversi ordini della realtà”[104]. In particolare, l’analogia è il rapporto di «ciò che è in basso» con «ciò che è in alto», e tale rapporto “implica essenzialmente la considerazione del ‘senso inverso’ dei suoi due termini”[105]. È nelle Futûhât di Ibn ‘Arabî che è possibile trovare un’illustrazione dottrinale di tale legge simbolica, in un passo direttamente connesso con il centro e la circonferenza: “Il Mondo è l’[essere] esistenziato (mawjûd) di ciò che si trova fra la circonferenza (muhît) ed il punto [centrale] (nuqta), secondo i gradi [gerarchici] (marâtib) e secondo la piccolezza e l’immensità delle sfere; ciò che si trova più vicino alla circonferenza è più largo di quanto si trova nel suo interno. […] Ciò che si abbassa verso gli elementi [corporei], discende da questo grado (daraja) fino all’orbe terrestre (kurat al-ard). Ed ogni parte in ogni circonferenza corrisponde (yuqâbil) di per sé (bi-dhâti-hi) a ciò che le sta sopra e a ciò che le sta sotto, nessuna cosa eccedendo l’altra, anche se l’una è larga e l’altra è stretta. Questo deriva dalla trasposizione (îrâd) del grande sul piccolo e del largo sullo stretto, senza [però] che lo stretto s’allarghi o il largo si restringa. Tutti quanti sono rivolti di per sé verso il punto [centrale], ed il punto [centrale], nonostante la sua piccolezza, si rivolge di per sé verso ogni parte della circonferenza attorno a lui. Dunque, il compendio (mukhtasar) [dell’Universo] è la circonferenza, ed il compendio di quest’ultima è il punto [centrale], e viceversa. Osserva, dunque!”[106]. Il cuore spezzato. Recita un verso di Hallâj: “Tu dimori nel mio cuore, ove sono i Tuoi segreti, ne è felice questa casa, ne son felici i vicini”[107]. Se egli può cantare l’intima gioia della divina Presenza pacificante, è nondimeno vero che questa condizione interiore è preceduta dalle fatiche del cammino spirituale, animato dal desiderio e dalla nostalgia dell’Origine, ma fatto, inizialmente, di sofferenza e di una prima morte, secondo le parole di un hadîth qudsî : “Chi Mi cerca Mi trova. Chi Mi trova Mi conosce. Chi mi conosce Mi ama. Chi Mi ama Io l’amo. Chi amo uccido. Chi uccido debbo riscattare. Chi debbo riscattare, Io ne sono il riscatto”. In un altro hadîth qudsî, leggiamo: “Io sono con coloro il cui cuore è spezzato per amor Mio”. Questa rottura del cuore rappresenta la morte iniziatica, vale a dire la morte a questo basso mondo. Si tratta del primo passo nel percorso di realizzazione spirituale, così descritto da Ghazâlî: “la Via consiste nel dar la preferenza alla lotta contro le passioni, nel sopprimere le qualità riprovevoli, nello spezzare tutti i vincoli e procedere col massimo impegno verso Dio eccelso. Ogniqualvolta si riesce a ottenere ciò, è Dio quegli che si assume la cura del cuore del Suo servo, quegli cui è affidata l’illuminazione con le luci della scienza. E quando Iddio si assume la cura del cuore, la misericordia di Lui lo inonda, la luce vi risplende, […] si dissipa per la grazia della misericordia il velo dell’errore avanti al cuore e brillano in questo le realtà delle cose divine”[108]. In conclusione, diremo ancora soltanto che l’esito della Via viene descritto da Jîlânî ricorrendo alla medesima immagine della luce divina che sgorga nell’intimo, a suggello della trasformante politura dello specchio del cuore: “Anche se l’Altissimo ha creato tutto per l’uomo, ha nondimeno creato l’uomo per Sé, ed ha detto: «L’Uomo è il Mio segreto ed Io sono il suo segreto». Quel segreto è una luce che procede dalla Luce divina di Allâh. È il centro del cuore, fatto della più sottile sostanza; è lo spirito che conosce tutte le verità nascoste; il legame segreto tra il creato ed il suo Creatore”[109]. [1] ‘Abd al-Karîm al-Jîlî, Al-insân al-kâmil, parte seconda, p. 23. [2] Vedi ‘Abd al-Qâdir al-Jîlânî, Il segreto dei segreti, Giarre, 1994, p. 166. [3] Se ci si figura tali forze come delle rette o dei segmenti, uscenti da un punto, orientati secondo molteplici e contrastanti direzioni, ciò sarà possibile finché vi sarà un piano geometrico, costituito da una pluralità indefinita di punti, nel quale tali rette o segmenti si svilupperanno (e si ricordi come “esistere” deriva da ex-stare, ossia “stare fuori”, originarsi per un processo di esteriorizzazione). Ma quando tutto viene riassorbito nel punto primordiale, origine dello spazio, le rette ed i segmenti cessano per ciò stesso di esistere, cioè di manifestarsi come esteriori, poiché vi rimane solo ed unicamente il punto. E senza più possibili opposizioni, ecco la Pace. [4] Cor., L, 16. [5] Jîlânî, op. cit., Giarre, 1994, p. 83. [6] Un’analoga espressione simbolica si trova nell’esoterismo ebraico, in cui l’albero sefirotico rappresenta l’Adam qadmon, equivalente dell’insân al-kâmil. Sul simbolismo dell’Albero nelle dottrine tradizionali, vedi R. Guénon, Il Simbolismo della Croce, Milano, 1998, cap. IX; R. Guénon, Il Re del Mondo, Milano, 1977, cap. III e R. Simini, Le teorie teosofiche della Qabbalah, in La porta d’oriente, 3/2000, pp. 59-76. [7] Jîlânî, op. cit., p. 137. Sulla natura sintetizzante dell’Uomo, si veda Ibn ‘Arabî, Il nodo del sagace, a c. di C. Crescenti, Milano, 2000. [8] Si veda C.-A. Gilis, La Doctrine initiatique du Pèlerinage à la Maison d’Allâh, Paris, 1982, p. 18. [9] C.-A. Gilis, La Doctrine, op. cit., p. 84. La Shekinah è, secondo un aspetto, luce, e secondo un'altra prospettiva è la sintesi delle Sefiroth; R. Guénon, Il Re del Mondo, op. cit., pp. 28-30. [10] Cor., XLVIII, 4. [11] Ibn ‘Arabî, Al-Futûhât al-makkiyya, II, p. 374. 25. [12] Cor., XLII, 52. [13] Si veda il nostro articolo precedente, par. “Il Centro”. [14] Si veda D. Gril, Le commentaire du verset de la lumière d’après Ibn ‘Arabî, IFAO, Annales Islamologiques, t. XIII, 1977, p. 180. [15] R. Guénon, Studi sull’Induismo, Milano, 1996, p. 64. [16] Fut., III, p. 392. [17] Fut., II, p. 666, citato in P. Urizzi, La Visione teofanica secondo Ibn ‘Arabî, in Perennia Verba, 1/1997, p. 43. [18] Il sole viene qui considerato come una fonte di luce, ciò che ci riconduce precisamente al nostro argomento. [19] P. Urizzi, art. cit., p. 45. [20] Esso viene assimilato, in determinate prospettive, ad una ferita aperta nel cuore. Proprio in quel punto, allora, il cuore è “aperto” (maftûh); R. Guénon, Simboli della Scienza sacra, Milano, 1975, p. 375. Nel Tasawwuf si parla, inoltre, di fath, “apertura”, intesa come illuminazione, svelamento spirituale, coniugando in tal modo il simbolismo dell’apertura e della luce. [21] Si veda il nostro articolo precedente, par. “L’Uomo Universale e le Teofanie”. [22] R. Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. XXXII, Milano, 1996, p. 255. [23] Ibidem. [24] Nascosti perché non percepibili nell’ordinarietà della vita terrestre; si tratta, ad esempio, dei mondi sovra-formali, come quelli angelici. [25] Jîlânî, op. cit., p. 124. [26] Al-Hallâj, Dîwân, a cura di A. Ventura, Genova, 1987, p. 43. [27] An-Nawawî, Quaranta hadith, Roma, 1982, p. 126. Questo detto riveste una funzione di straordinaria importanza nel Tasawwuf, ed è fonte di un vastissimo numero di implicazioni dottrinali ed interpretative, che qui ci è impossibile affrontare. Per un primo approccio bibliografico, si veda: G. De Luca, «Non sono Io il vostro Signore?», in I Quaderni di Avallon, 31/1993, p. 88, nota 66 e p. 97, nota 158; Abd el-Kader, Il libro delle soste, Milano, 1984, p. 112, nota 8; C.-A.Gilis, Les sept Étendards du Califat, Paris, 1993, pp. 25, 68 (nota 25), 137, 139, 299, 307; P. Urizzi, artt. cit., passim. [28] Fut., I, pp. 304-307 e III, p. 392, in P. Urizzi, La Visione teofanica secondo Ibn ‘Arabî. Parte seconda, in Perennia Verba, 2/1998, p. 15. [29] Al-Ghazâlî, La nicchia delle luci, Milano, 1989, p. 50. [30] Jîlî, op. cit., p. 22. [31] Si tratta di un versetto di enorme rilevanza dottrinale, che ha ispirato innumerevoli commentarî. [32] Cor., XXIV, 35. La sûra cui appartiene porta il nome di “Sûra della luce” (sûrat al-nûr). [33] Ghazâlî, op. cit., p. 82. [34] Ciò accade in conformità al carattere universale e plurimo del linguaggio simbolico, che non è però per questo meno esatto: “il simbolismo trova il suo fondamento nella natura stessa degli esseri e delle cose”, poiché “ogni vero simbolo porta in sé i suoi molteplici significati, e questo fin dall’origine, poiché esso non è costituito come tale in virtù di una convenzione umana, ma in virtù della ‘legge di corrispondenza’ che lega tutti i mondi fra di loro”, R. Guénon, Simboli della Scienza sacra, Milano, 1990, cap. 2, p. 21 e cap. 4, p. 38. Vedi anche R. Guénon, Il Simbolismo della Croce, Milano, 1998, pp. 12-15. [35] D. Gril, art. cit., p. 180. [36] Si noti come, per lo meno curiosamente, il valore numerico di durrî (D + R + Y = 4 + 200 + 10 = 214) sia identico a quello di rûh, spirito (R + W + H = 200 + 6 + 8 = 214). Si potrebbe interpretare quest’identità come una designazione simbolica, a livello di lingua sacra, del fatto che il cuore contiene lo Spirito. [37] Si veda A. Ventura, La presenza divina nel cuore, in Quaderni di Studi Arabi, 5/1985, pp. 66-7. Per approfondire la trattazione di queste immagini simboliche, si veda Ghazâlî, op. cit., pp. 98 e segg. [38] Nuovamente viene citata l’Unità: qui viene collegata alla fonte della luce, mentre in precendenza era citata in relazione con la sakîna (che è anch’essa luce, del resto). [39] Jîlânî, op. cit., p. 124. [40] La fede è infatti luce e scienza; è “la luce della scienza dell’Unicità di Allâh”, Fut., II, p. 25. 1. La Fede “può anche, in senso più profondo, designare la Conoscenza metafisica stessa; essa appare allora come il mezzo per eccellenza della realizzazione metafisica e s’identifica alla Scienza suprema che comporta universalità, permanenza e certezza”, C.-A. Gilis, Lo Spirito universale dell’Islam, Rimini, 1999, p. 21. [41] D. Gril, art. cit., p. 184. [42] Il grado di maggior trasparenza, vale a dire di maggior perfezione, è quello che appartiene al Profeta Muhammad, dal cuore pio e puro (taqî naqî). [43] D. Gril, art. cit., p. 185, e sul raggiungimento dello stato incondizionato si veda il già citato R. Guénon, Considerazioni, op. cit., p. 255. [44] Ossia, rispettivamente “la Luce muhammadiana” e “lo Spirito muhammadiano”. [45] Secondo un’applicazione più specifica, in relazione al mantenimento dell’umanità, il Cuore del Mondo è allora una designazione del Centro Supremo, considerato come l’Emmanuel, vale a dire “la manifestazione, virtuale o reale a seconda delle epoche, ma sempre presente, del verbo eterno nel seno dell’umanità terrestre”; R. Guénon, Simboli, op. cit., p. 27. [46] R. Guénon, Considerazioni, op. cit., p. 354. [47] P. Urizzi, La Visione teofanica, in P.V., 1/1997, p. 45. [48] Il binomio servo-Signore (‘abd e rabb, in arabo) non verrà mai meno. È irriducibile: “Ogni coppia di opposti nel cosmo possiede in sé qualcosa che li unisce, nonostante la loro opposizione, tranne servo e Signore”; Fut., III, p. 371 in G. De Luca, in art. cit., p. 84, nota 26. 49] Cor., X, 5. [50] In riferimento a Cor., VII, 156: “La Mia Misericordia abbraccia (wasi‘at) ogni cosa”. Il verbo wasi‘a, presente sia nel versetto che nel brano delle Futûhât, ha il senso proprio di “essere vasto, essere capace, contenere”; da cui “abbracciare”. [51] Fut., II, p. 107, in P. Urizzi, La Visione teofanica, in P.V. 1997, p. 45 (le parentesi quadre sono nostre). Si veda anche C.-A. Gilis, Lo Spirito, op. cit., p. 65. [52] Jîlânî, op. cit., p. 153. [53] Vedi A. Ventura, art. cit., p. 65, nota 7. [54] Ghazâlî, Scritti scelti, Torino, 1970, p. 638. [55] Cor., XVII, 110. [56] T. Burckhardt, La chiave spirituale dell’astrologia musulmana, Milano, 1987, p. 17. [57] Ibn ‘Arabî, La Sapienza dei Profeti, a c. di T. Burckhardt, Roma, 1987, p. 146, nota 31. [58] Vale a dire “colui che circonda [tutto]; l’onni-avvolgente”. [59] R. Guénon, Scritti sull’esoterismo islamico e il Taoismo, Milano, 1993, p. 57. [60] Ivi, p. 54. [61] Cor., XX, 5. Vedi R. Guénon, ivi, p. 57 e C.-A. Gilis, Les sept Étendards, op. cit., cap. VIII. [62] Vedi C.-A. Gilis, ivi, p. 64. [63] Cor., LV, 1-2; si tratta appunto della sûrat al-Rahmân, la “sura del Misericordioso”. [64] Cor., XXV, 59. [65] C.-A. Gilis, Les sept Étendards, op. cit., p. 64, nota 6; sulle direzioni dello spazio si veda anche R. Guénon, Il Simbolismo, op. cit., cap. IV. [66] Guénon, Il Simbolismo, op. cit., cap. XX Il vortice sferico universale, p. 133. Poco più avanti vi si specifica che “l’espansione di tale sferoide - in definitiva - altro non è se non la propagazione indefinita di un movimento vibratorio (o ondulatorio - i due termini sono in fondo sinonimi -), non più soltanto di un piano orizzontale, ma di tutta l’estensione a tre dimensioni, e che il punto di partenza di questo movimento può essere attualmente considerato come il centro di tale estensione”. Questo movimento vibratorio non è altro che quello del suono primordiale, che del resto si identifica alla luce stessa: non è perciò possibile dire se l’onda prodotta sia “una vibrazione sonora o un’onda luminosa; in realtà essa è sia l’una che l’altra, indissolubilmente unite in principio, di là da ogni differenziazione”, R. Guénon. Considerazioni, op. cit., p. 356. [67] Si veda il nostro precedente articolo, par. “Il Centro”. [68] Si noti come vi sia una sostanziale affermazione dell’identità simbolica fra il sole ed il centro del cerchio, poiché il termine “raggio” viene impiegato e per l’uno e per l’altro con il medesimo significato. [69] Per ulteriori approfondimenti, vedi Fut., III, cap. 317, pp. 65-8; C.-A. Gilis, Les sept Étendards, op. cit., cap. VIII. [70] Cor., XI, 7. [71] Cor., XXI, 30: “Noi abbiamo tratto dall’acqua ogni cosa vivente”. [72] Si veda C.-A. Gilis, Les sept Étendards, op. cit., p. 63. [73] R. Guénon, Gli stati molteplici dell’Essere, Torino, 1965, cap. I. [74] C.-A. Gilis, Le sept Étendards, op. cit., p. 55. [75] Questi significati vengono tutti espressi in arabo dalla lettera bâ’, che come preposizione significa “in; con” e “per”. [76] R. Guénon, Scritti, op. cit., p. 55. [77] Cor., XXV, 53. Il versetto successivo è: “Ed è Lui che ha creato dall’acqua l’essere umano, e ne ha fatto discendenza maschile e femminile. Il tuo Singore è onnipotente!”. [78] Cor., LV, 19-20. [79] Si veda Antologia del Corano, Milano, 1996, p. 69. [80] R. Guénon, Scritti, op. cit., p. 55. Sulle due facce del barzakh nella prospettiva macrocosmica, vedi ivi, p. 57. [81] Citato in T. Burckhardt, Simboli, cap. Sul «Barzakh», Milano, 1979, p. 91. [82] R. Guénon, Simboli, op. cit., p. 377, dove questo punto del cuore viene connesso sia allo iod (ossia la ferita aperta nel cuore) sia ad Emmanuel. [83] Ivi, p. 379. [84] Ibn ‘Arabî, Il nodo del sagace, op. cit., p. 185. [85] La Saggezza (hikma) di questo profeta viene definita, nell’opera, come quella “relativa al cuore” (qalbiyya). [86] Si tratta ancora una volta del verbo wasi‘a, “ contenere, abbracciare” già in precedenza incontrato. [87] Ibn ‘Arabî, Fusûs al-hikam, Beyrût, s.d., p. 120. [88] È epiteto paredro dell’Eterno. Quest’ultimo designa il superamento e la negazione di qualsiasi condizione legata al tempo, mentre il primo designa la negazione ed il superamento di qualsiasi condizione legata allo spazio. [89] Di cui il Trono, secondo il linguaggio cosmologico, rappresenta il limite estremo superiore. [90] R. Guénon, Gli stati molteplici, op. cit., p. 105. Si veda inoltre, dello stesso autore, Il Simbolismo, op. cit., cap. XXVI Incommensurabilità tra l’essere totale e l’individualità, pp. 167-70. [91] Al-Hallâj, op. cit., p. 66. [92] Ivi, p. 68. [93] Si veda Cor., II, 248. [94] Sul Tâbût, vedi Ibn ‘Arabî, Fusûs, op. cit., il capitolo dedicato a Mosè e M. Vâlsan, Il cofano di Eraclio, Parma, 1985. [95] R. Guénon, Il Re del Mondo, op. cit., p. 28. [96] Si rammenti inoltre come nell’interpretazione del versetto della luce, la nicchia rappresentasse il corpo umano; e, secondo i Fusûs, il Tâbût è l’espressione della natura umana (nâsût), che è eminentemente legata alla costituzione corporea. [97] Ivi, p. 30. [98] R. Guénon, Simboli, op. cit., cap. 75 La Città divina, pp. 391-5. [99] Ivi, p. 392. [100] Per le dottrine relative alla Ka‘ba ed al cuore, vedi C.-A. Gilis, La doctrine initiatique du Pèlerinage, Paris, 1982. [101] Tirmidhî, Kitâb khatm al-awliyâ’, Beyrût, s.d., p. 373. [102] A. Ventura, art. cit., p. 66. [103] R. Guénon, Simboli, op. cit., p. 380. Lo stesso principio viene illustrato da Ibn ‘Arabî, nel contesto specifico della natura del barzakh denominato “Tromba” (sûr): “[Allâh] l’ha foggiato secondo la struttura (shakl) del corno (qarn): la sua parte più elevata vasta e la sua parte più bassa stretta, [proprio] secondo la struttura del Mondo. Che cos’è la vastità del Trono [infatti] in confronto alla ristrettezza della Terra?” ; Fut., III, p. 66. [104] R. Guénon, Simboli, op. cit., cap. 50 I simboli dell’analogia, p. 275. [105] Ibidem. [106] Fut., I, p. 154. [107] Hallâj, Dîwân, op. cit., p. 57. [108] Ghazâlî, Scritti scelti, op. cit., p. 337. [109] Jîlânî, op. cit., p. 166.ui per modificare. scienzasacra.blogspot.it/2014/09/chiara-casseler-il-cuore-luce-e-spirito.html Due studenti di design hanno creato una presa a energia solare che si attacca su ogni finestra11/16/2016 Una presa che si attacca con una ventosa e immagazzina la luce solare trasformandola in energia: Kyuho Song e Boa Oh l’hanno presentata a Dubai Trasformare ogni finestra in una presa elettrica da cui caricare lo smartphone o altro. Ci sono riusciti Kyuho Song e Boa Oh, due studenti dell’Istituto Samsung Art e Design di Seoul, che hanno realizzato una presa portatile che trasforma la luce del sole in energia semplicemente attaccandola con una ventosa alla finestra. I due studenti hanno presentato il loro dispositivo durante la Dubai Design Week, nell’ambito del Global Grad Show, che è considerata la più importante esposizione di creazioni provenienti dalle scuole di design di tutto il mondo. Il Global Grad Show si è svolto lo scorso 24 ottobre: vi hanno partecipato studenti da 50 diverse università del mondo, provenienti da 30 paesi e 6 continenti. Pannelli solari e ventosaTra i 135 progetti presentati dagli studenti c’era anche la presa a energia solare di Kyuho Song e Boa Oh. Il suo funzionamento è semplice quando geniale. Da un lato ha piccoli pannelli solari che raccolgono l’energia, mentre nell’altro ha i buchi per inserire la spina. Quando fuori c’è il sole è sufficiente attaccare la presa alla finestra con una specie di ventosa, e lei inizierà ad immagazzinare l’energia. I raggi del sole verranno conservati nella batteria nel dispositivo. 20 ore di lucePer caricare completamente la presa, servono dalle 5 alle 8 ore. Il prototipo presentato al Global Grad Show può contenere circa 1.000 mAh che è sufficiente per tenere accesa una lampadina da 60 watt per 2 ore, anche se non è abbastanza per caricare un iPhone completamente spento (un iPhone 5 ha una batteria di 1.440 mAh mentre il 6 ha bisogno di 2.915 mAh). I due studenti, però, stanno già studiando un modo per aumentare la portata della loro presa. Per ora la presa solare è solo un prototipo, i due studenti non stanno pianificando di venderla. Ad ogni modo sarebbe un dispositivo utile da avere quando il telefono è scarico, in giro non vedete prese ma tante finestre. |